Consulente di fiducia (parte 2)

Post di Paolo Martini 2 Mag 2011

Come abbiamo visto nel precedente articolo, la fiducia è un “gioco” difficile che ha bisogno di tempo per essere prodotta. Inoltre è più facile capire – fin dalle prime battute di un apporto – di chi è meglio non fidarsi che comprendere a chi dare il tempo di conquistare la nostra fiducia.

Partiamo da qui, da quelli di cui non fidarsi fin dal principio.

Non ti fidare di chi, fin dai primi momenti:

  • mette al centro se stesso e la sua asserita professionalità, senza dimostrare interesse a capire chi sei (quelli che parlano, parlano, parlano…)
  • ti racconta dei successi dei suoi prodotti e degli stratosferici guadagni fatti fare ai suoi clienti senza parlarti degli insuccessi
  • ti parla utilizzando termini tecnici senza preoccuparsi se capisci
  • usa parole stantie – la versione audio di una qualunque brochure o sito – chiaramente mandate a memoria senza sapere che cosa stia dicendo (per fare la prova, interrompilo e poi goditi il suo sguardo perso nel vuoto…)
  • usa troppo spesso espressioni del tipo “sicuramente”, “glielo garantisco”, “onestamente” perché – evidentemente – non è per nulla sicuro, non garantisce alcunché e, quanto all’onestà, normalmente chi è onesto non sente il bisogno di comunicarlo a voce alta a tutti immediatamente.

Ma soprattutto:

  • Non ti fidare di chi non abbia con te una prospettiva di lungo periodo (il perché l’abbiamo già detto)
  • Non ti fidare di chi fa promesse che palesemente non potrà mantenere, perché indipendenti dalle leve che gestisce (per esempio garantirti, un guadagno certo nel prossimo anno, come abbiamo già detto)

Da chi stare alla larga. E tra i consulenti?

Meglio non dare fiducia a chi:

  • si lamenta sempre del proprio lavoro e della propria azienda (perché se non ha passione per quello che fa, difficilmente sopporterà la fatica di imparare continuamente e perché se lavora per una società di cui sparla, non è senz’altro un tipo affidabile)
  • quando va bene è merito suo e quando va male si giustifica dicendo che “i mercati non ci hanno dato una mano e comunque l’ottica deve essere sempre di lungo periodo” (attenzione, il punto non è che mente necessariamente quando si giustifica così, ma che mente quando si attribuisce tutti i meritidel successo. L’ottica di lungo periodo legata a un preciso obiettivo reale va bene, ma deve essere chiaramente definito prima e non dopo o durante)
  • palesemente, non ha interesse a spiegarti le cose in modo che tu le capisca. Di chi quindi ti preferisce ignorante
  • non si fa mai trovare e se si fa vivo è solo per proporti l’ultima “geniale” novità
  • non ti ascolta o, se lo fa, utilizza uno dei metodi che adesso vedremo.
  • lavora in un’azienda che ha dei budget predefiniti su specifici prodotti o servizi

Una delle condizioni, fra le altre, per potersi fidare di un consulente finanziario è che, come abbiamo visto, dimostri un reale interesse per noi, i nostri desideri, i nostri progetti (non perché necessariamente ci debba amare ma perché, razionalmente, ha compreso che il suo bene dipende dal nostro bene). Chiaramente nessuno verrà a dirci che è completamente disinteressato alla nostra persona, o che ci frequenta perché gli tocca, anzi!

Una delle spie principali per riuscire a comprendere quanto genuino sia tale interesse risiede nel modo in cui, quando parliamo noi, il consulente ci ascolta.

Fai attenzione, allora, a come ti ascolta (e questo sia con i nuovi incontri che con il tuo consulente abituale).

L’ascolto infatti non è quasi mai un atto spontaneo, automatico: non corrisponde a “sentire”. Sentire è un atto fisico spontaneo, mentre ascoltare è un atto volontario.

E se il consulente ha veramente la volontà di ascoltarci NON dovrebbe farlo:

  • con indifferenza: è presente fisicamente ma evidentemente ci ignora (“Ma io lo stavo ascoltando!” è la risposta tipica di chi confonde il sentire con l’ascoltare) in attesa: si concentra su cosa dire e attende con impazienza di parlare, tanto che spesso ci interrompe
  • presuntuosamente: presume di aver capito immediatamente il senso del discorso che stiamo facendo (“non vada oltre, ho già capito tutto…”)
  • selettivamente: ascolta del discorso solo ciò che vuole sentire, per esempio quello che gli serve per proporci un nuovo prodotto.
  • in modo autoreferenziale: non è in grado di mettersi nei nostri panni, tende sempre a ricollegarsi alla propria esperienza per parlare di sé e dei suoi prodotti senza lasciarci esprimere completamente : • ritualmente: apparentemente è attento ma, in realtà non c’è alcun interesse (Hm, hm…. Sì, sì …. capisco”)
  • prestando attenzione solo ai fatti: è effettivamente teso all’ascolto ma solo dei fatti enunciati e non anche a cogliere il nostro stato d’animo, gli atteggiamenti e quindi la sfera da cui trae origine il vero significato di quanto detto (“Sarà anche vero, ma non mi sembra il caso di drammatizzare” … )

A chi accordare fiducia.

Ma allora a chi concedere di guadagnarsi nel tempo la nostra fiducia e, se l’ha già fatto, di chi continuare a fidarsi?

Be’ … innanzitutto fidiamoci di chi NON corrisponde alla tipologia tratteggiata prima (chi non fa promesse a vanvera, chi ha una prospettiva di lungo periodo, chi si assume le responsabilità degli insuccessi, oltre che dei successi, eccetera) e di chi ci ascolta veramente, è cioè diversamente dai modi appena descritti.

Ma, inoltre, fidati solo di chi dimostra (fin dai primi momenti):

  • integrità e condotta esemplare (coerenza estrema tra promesse e fatti, fra parole e comportamenti)
  • competenza ma anche umiltà, passione e curiosità nello svolgere il proprio lavoro
  • considerazione per le tue ansie e preoccupazioni, oltre che per i risultati concreti
  • interesse per te, la tua famiglia, il tuo lavoro, oltre che per i tuoi soldi
  • una esperienza solida e pluriennale l’interesse ad avere con te momenti di contatto molto frequenti, indipendentemente dall’andamento delle Borse o dalle ultime novità di prodotto (nella buona e nella cattiva sorte, potremmo dire)

Di chi ci prova, insomma – veramente, costantemente, duramente ma anche serenamente – a fare il suo lavoro bene, cioè producendo valore per i suoi clienti, nel tempo, negli anni, nei decenni, indipendentemente dagli alti e bassi delle singole giornate.